Peoples' Friendship Square
Una piazza gigantesca con un’atmosfera molto gradevole
Presentazione Uzbekistan
La Repubblica dell’Uzbekistan è uno Stato dell’Asia centrale grande quasi quanto la Svezia, e con una popolazione di circa 35 milioni di abitanti. La sua capitale è Tashkent, che conta circa 2.150.000 abitanti.
Insieme al Lichtenstein condivide un’interessante peculiarità, ossia quella di confinare con Stati che non hanno uno sbocco sul mare, oltre a non averlo lui stesso.
In realtà l’Uzbekistan avrebbe un’enorme risorsa d’acqua all’interno del suo territorio, in condivisione con il Kazakistan: mi riferisco al lago d’Aral, il cui scellerato sfruttamento dei due immissari principali da parte dell’Unione Sovietica a partire dagli anni ’50 per sostenere la produzione di cotone ne ha causato il quasi totale esaurimento, provocando un disastro ambientale e devastando l’economia della zona.
La piantina sopra è volutamente non aggiornata, perché ci tenevo a farti vedere le dimensioni del lago in tempi piuttosto recenti.
Confesso che, fino a qualche anno fa, l’Uzbekistan per me era solo uno dei tanti Paesi ‘stan’ sparsi al centro dell’Asia, tanto che avevo problemi a collocarlo correttamente nella carta geografica.
Tutto è cambiato nel 2013, dopo la pubblicazione di una mia intervista con il campione di pattinaggio di figura Misha Ge, che pur essendo più legato a Russia, Corea e Cina per nascita e crescita, grazie alle origini della nonna materna rappresentava l’Uzbekistan nelle competizioni internazionali, con notevoli risultati.
L’intervista venne pubblicata sul più importante portale italiano dell’epoca dedicato agli sport invernali, e tradotta in altre lingue. Un certo Nurali Yuldashev, giovane telecronista sportivo della TV di Stato nonché membro del comitato olimpico dell’Uzbekistan, ne aveva letto la versione in inglese e mi aveva contattato per complimentarsi. Da lì è nata una solida amicizia e, grazie ai suoi post su Instagram, mi sono innamorato del suo Paese, al punto da desiderare di visitarlo non appena si fosse presentata l’opportunità.
Come ho scritto nel post sulla Thailandia, i modi in cui entro in contatto con le persone che poi andrò a conoscere personalmente nel loro Paese sono i più disparati 🙂
Ecco quello che scoprirai in questo articolo (video in inglese)
E così, eccomi all’aeroporto di Mosca, alle 23:30 del 4 aprile 2019, in attesa di imbarcarmi sul volo per Tashkent. Gli addetti alla sicurezza dello scalo russo devono avere una clausola sul contratto che prevede il licenziamento nel caso in cui si azzardino ad accennare un sorriso. Data l’ora, quasi tutti i negozi sono chiusi e c’è ben poco da fare per passare il tempo, ma per fortuna fra 90 minuti chiameranno il mio volo e quindi questa atmosfera piuttosto inquietante non influisce più di tanto sul mio umore.
Sono stato molto dubbioso prima di acquistare i biglietti con Aeroflot, a causa della sua cattiva reputazione di linea aerea non sicura. Esaminando le date degli incidenti, però, mi sono accorto che il 90% risalivano agli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, e questo mi ha convinto che la tratta Milano – Mosca – Tashkent fosse la più sensata, considerando sia il tempo che i costi. Il volo diretto da Milano proposto da Uzbekistan Airways aveva un prezzo improponibile, mentre le altre soluzioni con scali erano o troppo care o prevedevano tempi biblici. Col senno di poi, posso dire di essere rimasto molto soddisfatto della mia esperienza con Aeroflot: servizi essenziali ma assolutamente giustificati dal prezzo pagato.
Poiché il volo atterrerà alle 3:30, ho chiesto all’albergo di mandarmi un autista per facilitarmi il trasferimento, visto che a quell’ora potrei dover competere con gli altri passeggeri per trovare un taxi in tempi celeri.
Una volta atterrato a Tashkent, mi metto fiducioso alla ricerca di una persona che abbia in mano un cartello con il mio nome, ma senza successo. Quando mi rendo conto di essere rimasto l’unico passeggero senza un accompagnatore, esco dall’aeroporto e vengo quasi subito circondato da sette uomini di età tra i 25 e i 60 anni. Se Nurali non mi avesse assicurato sugli elevatissimi standard di sicurezza del suo Paese sarei davvero spaventato, invece riesco a mantenere la calma e infatti, nonostante nessuno di loro parli inglese, risulta subito evidente che vogliono solo aiutarmi, perché si sono accorti che sono in difficoltà.
Perché siano così tanti e cosa ci facciano lì a quell’ora è un mistero, ma francamente quello non è il momento per indagare al riguardo; voglio solo arrivare in albergo e farmi una bella dormita.
Dopo aver dato il numero di telefono dell’albergo a uno di loro (con la mia SIM italiana non potevo chiamare io stesso e a quell’ora era impossibile acquistare una SIM locale in aeroporto), cinque minuti più tardi arriva una macchina che avevo visto parcheggiata un centinaio di metri da me: l’autista era arrivato in aeroporto con largo anticipo e si era addormentato!
Comunque, tutto è bene ciò che finisce bene e l’Orient Palace Hotel si dimostra pienamente all’altezza delle aspettative. Dopo qualche ora, ancora molto assonnato ma felice, ho il piacere di vedere per la prima volta di persona Nurali, al quale regalo un libro sulle Olimpiadi invernali di Torino 2006.
Non è venuto in macchina, ma la metro di Tashkent si rivela come una delle tante piacevoli sorprese della capitale dell’Uzbekistan. Detiene il primato di primo sistema di linea metropolitana aperto nell’Asia centrale, nel 1977, e ognuna delle 43 stazioni delle sue quattro linee è disegnata su un particolare tema.
Sulla bellezza di queste stazioni lascio parlare le foto, mentre desidero spendere una parola sulla gentilezza ed educazione degli uzbeki, sempre pronti a cedermi il posto ogni volta che salgo su un mezzo pubblico.
La città, poi, è molto pulita, dinamica e gradevolissima da girare a piedi, tant’è che in tutto il periodo trascorso lì mi recherò in centro con i mezzi pubblici, per poi spostarmi a piedi nei vari punti di interesse e tornare in albergo sempre a piedi, ogni volta da un punto diverso della città, camminando così circa 20 km ogni giorno.
Qui puoi vedere una moschea e dei palazzi nei pressi dei quali sono passato per caso durante i miei vagabondaggi in città. Tra di essi spicca la gigantesca Humo Arena, tempio dello sport e dello spettacolo della capitale.
Una piazza gigantesca con un’atmosfera molto gradevole
Non possono poi mancare alcune foto di un mercato al coperto e di un centro commerciale. Se hai letto i miei articoli sul Sichuan e sulla Thailandia, sai già che questi locali esercitano su di me un’attrazione irresistibile.
Il fulcro della città è sicuramente la Amir Temur Square (Amir Timur xiyoboni in uzbeko), la piazza principale della città. Costruita nel 1882, ha quasi sempre avuto un valore altamente simbolico.
Durante la Rivoluzione Russa del 1917, ad esempio, aveva preso il nome di Revolution Square, e una statua di Stalin era stata posta al centro verso la fine degli anni ’40. Rimossa nel 1961, venne rimpiazzata da una statua di Karl Marx nel 1968 fino a quando, a seguito della conquista dell’indipendenza del Paese, l’attuale statua del condottiero da noi conosciuto come Tarmerlano venne eretta nel 1994 e alla piazza venne dato il suo nome.
Tamerlano, fondatore nel medioevo dell’impero Timuride, che si estendeva dalle coste orientali del mediterraneo fino all’India, il che lo rende uno dei più grandi condottieri e strateghi della storia, è una figura tuttora venerata in tutto l’Uzbekistan, e nei pressi della piazza è stato aperto un museo in suo onore nel 1996.
Le foto seguenti sono state prese nella piazza e nei suoi dintorni. Ancora una volta puoi ammirare l’estrema pulizia della città e la notevole estensione delle aree verdi. Gli Uzbeki amano i fiori, e a Tashkent se ne trovano ovunque e di moltissime varietà, ovviamente a patto di visitare la città nella stagione giusta.
Il museo delle arti dell’Uzbekistan è così bello da meritare un capitolo tutto suo. Aperto nel 1918 e spostato un paio di volte prima della sulla collocazione attuale dal 1974, ospita migliaia di quadri, sculture, porcellane e altre forme di opere d’arte principalmente da collezioni private, ed è diviso in aree a seconda della zona geografica: Uzbekistan, Russia / Occidente ed Estremo Oriente.
Con mio estremo stupore, ho persino trovato un quadro del mio pittore preferito, il Canaletto.
Ora lascio parlare le foto, che mostrano una parte davvero minima di quanto meriterebbe di essere fotografato lì dentro. Stupendo!
Se durante il giorno non posso contare sulla compagnia di Nurali, impegnato con il suo lavoro, quando cala il buio l’amico si prende l’incarico di portarmi nelle zone della città in cui la luce artificiale rende l’atmosfera più suggestiva.
Una di esse è sicuramente il Victims of Repression Memorial, con il relativo parco e l’adiacente Torre della Televisione.
L’intero complesso sorge lungo le rive del canale Bozsu, nell’area in cui tra il 1920 e il 1940 più di 13.000 partigiani Uzbeki vennero fucilati dalla repressione stalinista. Il memoriale occupa 17 ettari, e di notte è molto suggestivo.
La Tashkent Tower, alta 375 metri, è stata inaugurata nel 1985 e, sebbene sia principalmente adibita alle comunicazioni e alla trasmissione del segnale radio-televisivo che arriva fino al sud del Kazakistan, funge anche da stazione idrometeorologica e ha un osservatorio a 97 metri di altezza.
Poi, da buon telecronista sportivo, Nurali mi porta all’ingresso del National Stadium. Inaugurato nel 2012, ha una capacità di circa 35.000 posti e ospita le partite della squadra nazionale di calcio.
Restando al calcio, una delle attività notturne che Nurali mi propone è quella di assistere a una partita della Coppa d’Asia (l’equivalente della nostra Champions League) tra la squadra locale del Pakhtakor e i Qatarioti dell’Al Sadd, capitanati dal grande Xavi Hernández, ex stella del Barcellona e della nazionale spagnola ancora in grado, nonostante i 39 anni, di illuminare il gioco come pochi. L’altro giocatore molto conosciuto della squadra ospite è Gabi, trentaseienne centrocampista per anni colonna dell’Atletico Madrid.
L’idea mi piace così tanto che decido di ritardare di un giorno la partenza per Bukhara, per non perdere l’occasione. Nonostante abbia un biglietto riservato in tribuna d’onore, Nurali è così gentile da mescolarsi con me e alcuni suoi amici tra i normali spettatori, cosa che mi offre lo spunto per parlare di come viene manifestato il tifo negli stadi uzbeki.
Francamente mi aspettavo una bolgia, con petardi a non finire e urla sfrenate di incitamento per tutto il tempo, ma in realtà accade esattamente il contrario. Nessuna traccia di petardi o fuochi d’artificio (ottima cosa), e le uniche luci sono quelle degli accendini che ogni tanto illuminano la scena. I cori di incitamento, poi, non sono spontanei ma vengono diretti da due ragazzi che nel corso della partita passano per i vari settori dello stadio.
Come vedi dal video qui sotto, uno ha un tamburo mentre l’altro incita la folla di quel settore specifico. Dopo pochi minuti se ne vanno, per dirigere i cori nel settore adiacente.
Tutto ciò mi ricorda una partita di baseball alla quale avevo assistito 25 anni prima nel Connecticut, dove una lavagna luminosa istruiva il pubblico su come comportarsi durante la partita, quando battere le mani, quando alzarsi in piedi e così via. Avevo trovato quella mancanza di spontaneità di una tristezza tale che non sono mai più andato a vedere una partita di baseball in vita mia, nonostante i numerosi anni trascorsi negli Stati Uniti. Qui non siamo a questo livello, ma è un’esperienza che mi lascia comunque perplesso.
Partita divertente tra il Pakhtakor e l’Al Sadd
Per la cronaca, la partita finisce 2-2, con due reti di Xavi di cui una su una splendida punizione. La sua uscita a nove minuti dalla fine viene salutata con scroscianti applausi.
Il rientro in albergo è molto divertente. Vengo scortato dagli amici di Nurali, rimasto allo stadio per attività lavorative post-partita, e durante il tragitto in taxi disquisiamo in tedesco sulle virtù di Alessandro Del Piero, calciatore da loro adorato.
E ora, una breve parentesi sul cibo. La cucina dell’Uzbekistan non può competere a livello di varietà e di presentazione con altri Paesi asiatici quali Cina, Giappone, Corea e India, ma è comunque molto gradevole.
La pietanza dominante è il plov, piatto a base di riso e agnello o manzo al quale vengono aggiunti cipolla, aglio, peperoni, uvetta, albicocche e carote, a seconda delle varianti regionali.
Gli spiedini di carne speziata abbondano, e in generale ho trovato molte similitudini con la cucina turca.
Nella prima foto puoi vedere un patir, delizioso pane che si presenta in decine di varianti, di cui questa è al formaggio. La seconda invece mostra un ristorante piuttosto lussuoso nel quale mi ha portato una sera Nurali.
Ebbene, per un pasto composto da tre grossi spiedini di carne, cipolla, il patir di cui sopra e un tè al limone ho pagato l’equivalente di 3,5 euro. La corsa in taxi per tornare in albergo, poi, mi è costata circa un euro e mezzo, per una durata d 20 minuti.
L’ultima foto invece mostra un’usanza molto carina vigente nel Paese: quasi nessun ristorante serve frutta, ma se a te piace consumarla puoi portartela da casa: il cameriere te la lava, la taglia e la porta in tavola a fine pasto.
Prima di passare al racconto dei giorni trascorsi a Bukhara, desidero spendere ancora qualche parola sul personale dell’Orient Palace. Non solo i ragazzi sono stati molto di aiuto quando mi sono trovato in difficoltà con il bancomat, per esempio, ma uno in particolare, Bakhodir, è diventato una specie di nipote per me, e la sua personalità sintetizza al meglio quanto ho potuto osservare in questi primi giorni sulla gioventù uzbeka: premuroso, rispettoso, un po’ ingenuo ma soprattutto curiosissimo. Dal biathlon alla reincarnazione, dalle tecniche di marketing a Marylin Manson, nessun argomento lo lascia indifferente, e nei miei 4 giorni all’Orient Palace ho passato più tempo con lui dietro il banco della reception di quanto ne abbia passato nella mia stanza.
Un’esperienza del genere non mi era mai capitata, al punto che qualche cliente dopo un paio di giorni aveva iniziato a chiedermi informazioni perché si era convinto che facessi parte dello staff dell’albergo 🙂
Se acquistare il biglietto del treno per Bukhara è stato piuttosto complicato (ne parlo a fine articolo), il viaggio invece è estremamente gradevole, allietato anche da numerose tazze di delizioso tè al limone che vengono servite in carrozza durante le quattro ore passate sul treno.
L’hotel Khurjin si rivela persino migliore di quanto mi aspettassi. L’avevo prenotato perché mi incuriosiva l’dea di pernottare in una madrasa ristrutturata dell’800, e la zona tranquilla, il personale molto gentile e le varie decorazioni rendono l’atmosfera assolutamente magica.
Nel pomeriggio ti servono il tè nel delizioso cortile e la colazione … beh, non penso richieda un commento. Ora preparati alla notizia migliore: tutto questo, colazione inclusa, costa l’equivalente di 20 euro a notte!
Ormai è tardo pomeriggio, ma ho ancora tempo far farmi una prima idea della città. Il centro è a poche centinaia di metri dall’albergo, e noto con piacere che è interamente pedonale.
La prima cosa che si nota è il Lyab-i Hauz, ossia un’area composta da una vasca d’acqua circondata da un notevole complesso architettonico.
La caratteristica di questi stagni, detti howz, è che prima dell’occupazione sovietica rappresentavano la principale fonte d’acqua, ma erano anche la fonte di diffusione di molte malattie. Ecco perché quasi tutti vennero riempiti, ad eccezione di questo.
Per quanto riguarda il complesso architettonico, spiccano la madrasa di Kukeldash, la più grande dell’Asia centrale, la Madrasa di Nadir Divanbegi e il monumento a Nasreddin Khoja, figura favolistica della cultura turca presente anche nella letteratura del sufismo. Viene spesso citato nelle favole e in storie divertenti, e non a caso viene considerato una specie di jocker.
Ora ti mostro altre foto relative al Lyab-i Hauz.
In lontananza vedo spiccare un minareto, per cui mi dirigo in quella zona.
Mi ritrovo in una piazza all’interno di un complesso religioso, e quasi subito vengo circondato da otto ragazzi. Memore dell’esperienza all’aeroporto di Tashkent, so che quasi certamente qualcosa di buono sta per accadere, e infatti un ragazzino dai capelli crespi, il più intraprendente del gruppo, mi si avvicina ancora di più e in un inglese stentato ma comunque comprensibile mi chiede se ho voglia di raccontargli chi sono e cosa sto facendo lì.
Si scusa nel caso in cui mi stiano facendo perdere tempo, ma mi spiega che a Bukhara non arrivano ancora molti turisti, e loro hanno un grande desiderio di esercitare il loro inglese ascoltando le storie di chi è partito da lontano per venire a conoscere il loro Paese.
Questa richiesta mi lascia pietrificato. Il fatto che esista ancora un posto al mondo in cui vieni circondato da una banda di ragazzi non perché vogliono rapinarti ma perché ti hanno identificato come una persona di esperienza e vogliono imparare da te mi sembra troppo bello per essere vero.
Eppure è proprio così, e trascorro circa 40 minuti nella piazza per parlare con loro del più e del meno.
Nella seguente foto puoi vedere anche due turisti giapponesi capitati lì per caso e che non hanno idea di cosa stia accadendo, visto che non parlano inglese.
Nel frattempo si è fatto buio e, con mia grande sorpresa, vengono spente tutte le luci dell’illuminazione pubblica, suppongo per risparmiare energia, e il minareto spicca ancora di più nel suo splendore.
Si tratta del minareto Kalyan, costruito nel 1127. Fa parte del complesso religioso Poi Kalon e ha una scala a chiocciola in mattoni che si snoda all’interno. La sua bellezza è tale che Genghis Khan ordinò di risparmiarlo, quando i suoi uomini entrarono in città e distrussero tutti gli edifici intorno ad esso. Purtroppo è anche conosciuto con il sinistro nome di Torre della Morte, poiché fino all’inizio del XX secolo i criminali venivano giustiziati facendoli cadere dalla cima.
Per quanto l’atmosfera sia magica e la compagnia molto gradevole, sono un po’ preoccupato perché con quel buio totale non sono certo di ritrovare la strada per l’albergo. Per mia fortuna capita che il ragazzino intraprendente, che si chiama Mukhammadjon, sia un buon amico del proprietario del mio albergo, e quindi si offre di riaccompagnarmi.
Grazie al flash del cellulare riesco a non inciampare da nessuna parte e, mentre ci avviciniamo all’albergo, rifletto sul fatto che l’assenza totale di illuminazione notturna sia un’altra indicazione di quanto sia sicuro girare per le strade dell’Uzbekistan. Non parliamo poi della possibilità di ammirare il cielo stellato, un’esperienza più unica che rara in una città. Meraviglioso!
Vicino all’albergo ho notato un ristorante molto carino ancora aperto, nonostante siano passate le 21:30, per cui, dopo aver salutato e ringraziato il mio nuovo amico, mi reco lì per una cena veloce.
L’interno è davvero bellissimo, e non riesco a distogliere lo sguardo da un tavolo di signore i cui vestiti sono così in tono con il locale da farle sembrare quasi parte dell’arredamento. Per inciso, il piatto alla destra della zuppa è un plov, di cui ho parlato prima.
Sono estremamente soddisfatto di questa prima mezza giornata a Bukhara, riassunta nel seguente video.
Attenzione, non stai avendo un’allucinazione sonora: il brano in sottofondo sparato dall’altoparlante di un locale sul Lyab-i Hauz è proprio “Su di noi”, di Pupo!
Una delle città più incantevoli che abbia mai visitato, non solo dell’Uzbekistan ma in generale
Il giorno seguente, il buon Mukhammadjon passa a prendermi in tarda mattinata, per farmi vedere altre parti della città.
Per prima cosa diamo un’occhiata al alcuni negozi di artigianato locale e passiamo davanti all’ennesima madrasa, chaimata Mir-i-Arab, ancora attiva e pertanto vietata ai visitatori.
Poi ci rechiamo in una zona leggermente fuori dal centro ma facilmente raggiungibile a piedi, per vedere l’impressionante Ark of Bukhara, una massiccia fortezza costruita circa 1.600 anni fa. Oltre ad essere un struttura militare, fino al 1920 la fortezza era usata come abitazione dalle varie dinastie che dominavano l’oasi di Bukhara.
Ora è una delle principali attrazioni turistiche della città ed è sede di numerosi musei, tra cui quello etnografico, quello archeologico e quello delle belle arti, oltre a esibire una notevole collezione di libri persiani e arabi del XVIII secolo.
Essendo il cortile caratterizzato dalla presenza di un trono, ne approfitto per auto-incoronarmi nuovo imperatore di Bukhara!
Il tempo scorre a una velocità impressionante e l’ora di cena arriva in un batter d’occhio. Mukhammadjon mi propone di radunare alcuni dei ragazzi della sera precedente e andare in un locale fuori città dove, secondo lui, potrei avere un’esperienza interessante.
Accetto con entusiasmo e, non appena entriamo nel locale, vengo proiettato indietro nel tempo di una ventina d’anni, ai tempi dei miei viaggi in Turchia! L’odore di tabacco permea l’aria, ma non in modo fastidioso, tant’è che riesco a consumare il pasto a base di carne e patate senza provare alcun fastidio respiratorio.
Poi arriva il divertimento: il gestore del locale porta alcuni narghilè, o kaljan, come vengono chiamati da queste parti, e io cerco di ricordare le lezioni apprese a Istambul per impressionare i ragazzi. Loro non si mettono a ridere per educazione, ma mi basta vedere all’opera Mukhammadjon per rendermi conto di essere un assoluto principiante.
Per capire cosa intendo dire, guarda il seguente video.
Perché non si smette mai di imparare…
Qualora fossi giustamente preoccupato per le conseguenze che il fumo può avere su un ragazzo così giovane, aggiungo che circa un anno dopo Mukhammadjon mi ha scritto di avere smesso di fumare, proprio per evitare conseguenze sulla salute negli anni futuri. Una saggia decisione, anche se non posso negare di essermi molto divertito al ristorante grazie alle sue evoluzioni con il fumo.
Nonostante ci sia da percorrere qualche km, decidiamo di tornare in città a piedi, ovviamente al buio, perché siamo un po’ esaltati dal fumo e abbiamo voglia di restare ancora un po’ insieme. Domattina dovrò prendere il treno per Samarcanda e non ne ho nessuna voglia perché, nonostante sia riuscito a vedere tutto ciò che la città offre, so già che l’albergo, l’atmosfera della città e i ragazzi mi mancheranno terribilmente.
Ormai è chiaro che 10 giorni per visitare l’Uzbekistan non sono sufficienti, ma chi poteva immaginare che mi sarei trovato in un Paese così meraviglioso, soprattutto dal punto di vista umano?
Se Tashkent è stata una piacevole sorpresa e Bukhara una folgorazione, cosa potrò mai aspettarmi da una città conosciuta in tutto il mondo e che ho sentito nominare sin dalla mia infanzia?
Purtroppo il problema nasce proprio da quanto appena scritto: sebbene l’età ed esperienza avrebbero dovuto darmi consiglio, ho completamente ignorato due aspetti, mentre affronto il viaggio in treno di 80 minuti che separa Bukhara dalla seconda città dell’Uzbekistan per popolazione, con i suoi circa 510.000 abitanti:
1) Quando si hanno troppe aspettative, la realtà risulta spesso deludente anche quando non è per nulla sgradevole
1) Le città molto turistiche risultano quasi sempre poco autentiche
A scanso di equivoci, ti dico subito che a Samarcanda non mi è successo niente di brutto: se fosse stata la prima città nel mio itinerario sono certo che ne sarei rimasto entusiasta, e ora non scriverei queste parole.
Essendo però reduce dalle esperienze a Tashkent e Bukhara, non posso negare che vedermi circondato da turisti americani ed europei, cartelli con indicazioni ovunque e un atteggiamento di sufficienza da parte di negozianti avvezzi ai turisti mi ha messo un po’ di tristezza, per quanto fosse tutto ampiamente prevedibile.
Se un ragazzo si avvicinava non era perché voleva parlare in inglese ma perché voleva vendermi qualcosa, e i negozi di souvenir erano più numerosi di quelli di alimentari.